Fiorentini dei tempi di Dante: Isacco di Bonaguida e i Laudesi di Santa Croce

Nel 1297 un fiorentino dal nome poco comune, Isacco, figlio del fu Bonaguida del popolo di San Pier Maggiore, dimorante nel “Burgo Scarpentariorum” (via Pietrapiana), sano di mente e di corpo, volle fare testamento e disporre dei propri beni come gli pareva.
Forse era anziano e non è noto se praticasse o meno qualche mestiere: quel che si sa è che è ricordato in quattro pagine di un registro dell’Archivio di Stato di Firenze parzialmente alluvionato, a lui dedicate.
Il notaio che interpellò per la stesura dell’atto fu ser Obizzo da Pontremoli, che allora curava i rogiti dei Frati Minori di Santa Croce e dei pinzocheri, cioè i terziari, uomini e donne. Dettando le sue ultime volontà, Isacco fornisce (a noi) delle notizie utili a conoscere qualcosa in più della storia e degli usi della città al tempo di Dante.

Il suo legame con i francescani di Santa Croce innanzitutto è attestato dal fatto che qui elesse la sua sepoltura.
Legò anche a ciascun religioso, che sarebbe intervenuto al suo suffragio, un candelotto di cera – del valore illeggibile per il deterioramento della carta – e a tutti i frati due ceri da 60 soldi – i quali, dopo la sepoltura, sarebbero dovuti rimanere nella sacrestia a illuminare il Corpo del Signore.
Inoltre lasciò al convento, per le sue necessità, lire tre e all’Opera della chiesa altre lire tre e soldi 40.

Si occupò quindi dei parenti: di Lotto figlio “Ambrae” (cioè di Abramo, suo fratello deceduto), di Bino fratello di Lotto e di una illeggibile loro sorella figlia di Abramo, alla quale destinò 40 soldi.
Negli “item”seguenti si ricordò dell’ospedale di Santa Maria Nova (soldi 40), di Migliore (?) pinzochera che dimorava nella casa di Bernardo di Ubaldino (soldi 20) e di Ciana pinzochera figlia di Raffanino (soldi 10).
Provvide inoltre per la chiesa di San Pier Maggiore (soldi 10) e per la chiesa di “San Martino di Vico”, plebanato di Fiesole, con il lascito di una tovaglia di valore di soldi 20 come corredo dell’altare e “pro sacrificando” (per il sacrificio della messa). Altri beneficati furono Ciaffo del fu Lottieri del popolo di Santa Maria in Campo (soldi 20), Nerio figlio di Ughetto del popolo di San Pier Maggiore (soldi 10) e fra Giovanni da Verzaia (soldi 20).

Appare quindi nel testamento un nome conosciuto dai dantisti:

“Item Caselle manovali de laudensibus soldos decem” – a Casella manuale dei Laudesi, 10 soldi, dove – penso – per manuale si debba intendere scrittore di musica.
Non appare altro però a confermare se davvero il Casella amico di Isacco possa essere stato la stessa persone dell’amorevole musico citato nel Purgatorio ... gli indizi ci sono, ma nella storia dalle fonti d’archivio è bene non allargarsi troppo, specialmente sui personaggi famosi ...

Altri fiorentini vicini a Isacco furono il frate Minore Iacopo d’Oltrarno, suo confessore (soldi 40), Donato suo cognato (lire 3 da restituirgli) e una certa Rosa del popolo di Sant’Ambrogio (lire 3 e soldi 5 anche questi da restituire alla donna).

Isacco non ebbe figli, o almeno non gli sopravvissero. Non sono citati nel testamento. Compare però la moglie Ghita del fu Giunta, alla quale lasciò tutte le cose “mobili” che avrebbe potuto reperire al tempo della sua morte: biade, vino, olio e masserizie e in più lire 20 per restituzione e aumento della sua dote. Di seguito fece un legato a Paolo suo fratello, figlio di Bonaguida, con lire 15 come falcidia – il minimo garantito agli eredi. Ma anche qui la carta diventa illeggibile e non ne sappiamo di più.
Su Ghita Isacco sarebbe ritornato qualche volta nel testamento, forse con un senso di colpa, pensando che non sarebbe stata contenta del testamento. Questo perché, per ricavare il denaro per poter pagare i legati, Isacco ordinò che, tramite i suoi fidecommissari, fosse venduta la loro abitazione: la casa e l’orto del borgo “Scarpentariorum” che era così confinata: a primo via, al secondo gli eredi di Manetto, a terzo Pagno di Berlinghieri e a quarto Lapo di Gottifredi.
I fidecommissari suddetti furono i Capitani della Società delle Laudi di Santa Croce pro tempore, il frate che sarebbe stato alla loro ‘correzione’ pro tempore e frate Iacopo d’Oltrarno. Tutti quanti avrebbero avuto piena e libera autorità e potestà nel vendere la casa e nel pagamento dei legati.
Da questo si può dire che Isacco fosse un cantore laudese e che questa sua sacra passione lo coinvolgesse al punto da assegnare ai Capitani un incarico di responsabilità riguardo al testamento.
D’altronde non era il solo ad avere e dimostrare tale attaccamento: la gran parte dei cittadini di Firenze allora prediligeva questo tipo di musica devozionale che ascoltava ogni giorno, sempre e dovunque.
L’atto fu scritto a Firenze a Santa Croce, testimoni frate Ranuccio da Campoli, frate Donato da Pinzodimonte, frate Ubaldo fiorentino, ser Marcovaldo pinzochero del fu Berlinghieri da Firenze, Ghino del fu Simo Lieti, Dino di Ravignano e Balduccio Mezolombardi da Lucca servitori dell’Inquisitore e Paolino di Nuto che era detto (***, sic) da Prato. L’anno era il 1297 “a nativitate”, il giorno mercoledì 13 marzo.

In un codicillo Isacco ricordò ancora la moglie e ordinò che se Ghita avesse voluto comprare entro 15 giorni la metà della casa e dell’orto del Borgo degli Scarpentari, questo le doveva essere consentito dai fidecommissari. Il prezzo sarebbe stato di 60 lire.
L’aggiunta fu scritta dallo stesso notaio sempre a Santa Croce, presenti questa volta frate Bindo di Datuccio, Duccio del fu Piero che era detto Cresta del popolo di Santa Maria Maggiore, Buglietto di Boninsegna da Firenze, Ghino di Simo Lieti, Balduccio Mezolombardi e Dino di Ravignano da Lucca servitori dell’Inquisitore. Era lunedì 18 marzo 1297.

Paola Ircani Menichini, 15 settembre 2023.
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